venerdì 23 febbraio 2018

VERONA  CIMITERO MONUMENTALE LATO INGENIO CLARIS (FOTO DEL 20 FEBBRAIO 2018): 5 CARLOTTI, 6 DA LISCA FORMIGHEDO, 7 RIZZARDI, 8 CANOSSA/MUSELLI

5) CARLOTTI (foto 1-2-3) Di questo monumento posso dire soltanto che il De Betta non lo cita, anche se lo fa per altre testimonianze dell’arma Carlotti (identica a questa). Debbo presumere che esso sia quindi posteriore alla data di compilazione dello Stemmario Veronese del De Betta (se non erro risalente al 1923). Lo stesso autore informa che in Sant’Eufemia uno stemma Carlotti è visibile abbinato a quello Verità, arma di cui ho parlato qui https://www.facebook.com/groups/211814768987383/search/?query=Verit%C3%A0 il 12 Settembre 2016. Si conoscono anche gli smalti dell’arma Carlotti (confermati, almeno per il campo, dal tratteggio), dal che discende un d’azzurro, allo scaglione sostenente due leoni controrampanti, il tutto d’oro, accompagnato in punta da una torre d’argento.





6) DA LISCA DI FORMIGHEDO (FOTO 4-5) Molti e molto antichi sono gli esempi riportati dal De Betta che però ovviamente non cita questo, a lui successivo in maniera evidente. Leggendo attentamente si nota come la variante dell’arma con l’aquila è presente già in reperti antichi. Questo non sorprende, ma lo fa (e il De Betta stesso ne stupisce) l’accorgersi che l’esemplare di S. Maria in Organo, definito dall’autore “molto antico”, riporti un’aquila nera in campo rosso (sic). Evidentemente deve essere frutto di pessima reinterpretazione successiva che abbia confuso il canonico oro, magari virato o comunque corrotto. Gli altri smalti sono l’argento del campo e il verde dell’albero e dei monti.





7) RIZZARDI (FOTO 6-7-8 CIMITERO 9 -10 PIAZZA BRA. FOTO 11: RIGUARDANTE ALTRO STEMMA IN LONATO (BS).
Cognome assai diffuso anche in Idro, ove abito oltre che nei paesi limitrofi e in tutto il Bresciano*. Anche qui il De Betta “arriva prima” del monumento nel Cimitero, che quindi non può conoscere, ma cita altri esempi, e anche qui i tratteggi degli smalti suscitano problemi. Il campo in cui si muove il “porco riccio” per dirla alla De Betta (animale qui riprodotto con fattezze al naturale, ma blasonato di nero dagli autori riportati dal De Betta medesimo che ovviamente, per motivi cronologici, citano altri esempi, non certo questo) appare azzurro come vuole il Verza ma non il Gianfilippi (argento), mentre sia l’uno che l’altro, per il fasciato (di sei e quattro pezzi, rispettivamente) parlano di argento e rosso, mentre qui appare di rosso e oro. Inoltre nel reperto da me fotografato il troncato (così lo vogliono sia il V. che il G.) pare diventi più un fasciato di rosso e d’oro, al capo d’azzurro, al riccio al naturale sostenuto dalla prima pezza. Si noti anche che solitamente nei fasciati o simili la prima fascia è caricata dal metallo (oro, argento) mentre la seconda dal colore (rosso in questo caso) e così via alternativamente, mentre qui accade il contrario.  La quarta foto (la n. 9 di questo post) è stata da me scattata l’11 Settembre 2015 in Piazza Bra e riguarda altro stemma Rizzardi. Il De Betta non cita nemmeno questo e parrebbe impossibile che gli possa essere sfuggito. Siccome la foggia non mi pare moderna, si potrebbe concludere che il restauro che l’abbia riportato alla luce sia successivo alla pubblicazione dello Stemmario (1923?) O si tratta di svista ed è invece da questo reperto che il Verza e il Gianfilippi si convincono che le fasce siano rosse e argento anziché rosse ed oro? Viste così mi parrebbero del secondo e quindi il monumento del Cimitero “avrebbe ragione”, oppure potrebbero essere d’’argento, virate o non totalmente “liberate” dalla tinta giallastra circostante, cosa che potrebbe aver tratto in inganno gli autori/committenti del relativamente recente monumento funebre.
* si veda E. STEFANI ARALDICA BENACENSE E VALSABBINA, Liberedizioni, 2016 BS, pag. 107. Alcune varianti dell’arma descritte nel testo citato, ricordano da vicino quelle veronesi da me riportate. In tutte però il fasciato è d’argento e di rosso, cosa che farebbe propendere per l’”errore interpretativo” nel monumento funebre, di cui si è detto in conclusione del punto 7). Non so dire invece se l’arma visibile nel cortile della Fondazione Ugo da Como in Lonato (BS, FOTO 10) sia ulteriore variante dell’arma Rizzardi o appartenente ad altra famiglia. Opterei per la seconda ipotesi ma, ripeto, io non lo so.    







 
8) CANOSSA    MUSELLI (FOTO 12-13-14)       

Monumento citato dal De Betta. Nelle sue pagine si legge come secondo il Gianfilippi e il Crollalanza, il “cane levriere” oltre che collarinato, dovrebbe essere “bailonato”, un orribile francesismo (tra l’altro fuorviante nel significato, giacchè il “bailloné” da cui deriva significa “imbavagliato”) per indicare che il canide tenga tra le fauci un oggetto rigido, un osso in questo caso. Non pare di scorgere ossi nelle immagini da me riportate. Per quanto riguarda l’arma Muselli, sempre il De Betta ci avvisa che un’altra è presente nel Cimitero, cosa che mi auguro di poter verificare nel più breve tempo possibile. In quest’altra testimonianza lo stemma Muselli appare riprodotto insieme a quello Rambaldo. L’autore dello Stemmario Veronese dubita che i “musi” dello stemma Muselli siano di cinghiale o di porco. A prima vista a me sono parse di lupo, forse fuorviato dal “collega” levriere dell’arma Canossa, ma dopo un istante non si può aver dubbi sul fatto che siano tre teste di cinghiale, non fosse per la “difesa” cioè la zanna che spunta evidente dalle fauci. Il Gianfilippi vuole il campo di verde, la banda d’argento caricata da tre rose di rosso e accostata da due teste di cinghiale di nero. Il Verza invece, dice che non c’è una banda ma una fascia, d’oro come le teste di cinghiale, tacendo delle rose, che anche il Crollalanza, stando al De Betta, vuole rosse, ma bottonate d’oro.





giovedì 22 febbraio 2018


VERONA  CIMITERO MONUMENTALE LATO INGENIO CLARIS (FOTO DEL 20 FEBBRAIO 2018): 1 POLI, 2 BRAGGIO/(FILIPPI?), 3 POMPEI, 4 ZORZI/CAPOBIANCO

(PREMESSA DA IL CAFFE' ARALDICO, 21/2/18: Ieri sono stato in un posto che, per chi, come me, proviene da un piccolo paese schiacciato tra i monti, è parso gigantesco in maniera allucinante (in senso letterale). Nell'ora e mezza in cui per ora ho potuto sostarvi credo di averne esplorato sì e no la ventesima parte. La stima per capire quanto tempo mi ci vorrebbe (vorrà) a setacciarlo per intero è quindi semplice. Parlo del Cimitero Monumentale di Verona. Un'ora e passa trascorsa in completa solitudine e completo silenzio a dialogare con gli stemmi che mano a mano mi venivano incontro, così come pareva a loro (ho lasciato a bella posta il libro-guida del De Betta in auto). Mi prendo la libertà di celebrare questo particolarissimo momento iniziando spero presto una parentesi (pur sempre veronese... ) dedicata proprio a quanto sono riuscito a catturare ieri mattina. Dovrei scegliere per stavolta, il metodo della carrellata veloce, e quindi non con post "stemma per stemma, tranne che per un paio di casi, uno dei quali mi ha profondamente emozionato e si capirà facilmente il perché. Chiedo ancora scusa per la rarefazione dei miei interventi in questo periodo, ma sono impegnato in altro progetto, sempre araldico, e in un paio di studi un po' più approfonditi di due questioni, che chissà se porteranno a qualcosa. A presto, spero già domani ma non diciamolo che è meglio.) 


1)      POLI (FOTO 1-2) Tre ramoscelli (d’ulivo?) blasonati ovunque “a ventaglio” e invece infatti sono “impugnati” e attraversati da una fascia (d’azzurro?) caricata da tre stelle di otto raggi. Il De Betta cita sia la famiglia che questo reperto. Lo stemma varia anche di parecchio da manufatto a manufatto e così gli smalti. In un caso la fascia è descritta d’azzurro, così come il tratteggio di questo monumento lascerebbe intendere (non ne sono presenti altri, il che –escludendo ramoscelli e stelle troppo piccoli per contenerne- farebbe pensare a un campo d’argento, cosa non confermata dal De Betta.






 2)      BRAGGIO (-FILIPPI?) (FOTO 3-4) Il monumento riporta la scritta BRAGGIO, ma porta le foto di un Braggio e un Filippi, nati rispettivamente nel 1908 e nel 1935. Di nessuna di queste famiglie il De Betta riporta notizia (ovviamente non poteva citare proprio questo monumento visto che scrive nel 1923 e muore prima dei due sopraccitati, ma avrebbe potuto nominare la famiglia e altri reperti più antichi). Il destrocherio impugnante una scimitarra che carica lo scudetto “sul tutto” potrebbe avere valenza “parlante” (Braggio-braccio). Da notare il bel grembiato di otto pezzi d’argento e di rosso, del 2° e 3° quarto.




)      POMPEI (FOTO 5-6-7) Saltato uno stemma che in…ordine di apparizione verrebbe prima di questo, ma per il quale riserverò post singolo (si veda il mio intervento di ieri) passiamo alla lapide Pompei, citata dal De Betta. Qui ammiriamo un partito: nel 1° una fascia accostata da due fiori di sei petali; nel 2° due fasce. L’autore ci avvisa che l’arma classica riporta due stelle anziché i fiori (anche se poi lui parla di rose, per questo reperto, ma rose non sono).Anche in questo caso, alle fasce e stelle (fiori) nonché ai campi, vengono assegnati vari smalti a seconda del manufatto di cui si parla e degli autori (Gianfilippi, Verza, Crollalanza). Il De Betta non si pronuncia in merito






4)      CALISTO ZORZI, ANNA CAPOBIANCO  (FOTO 8-9-10)

Il De Betta non cita la famiglia Capobianco né questo Zorzi (vale quanto detto per stemma di cui a punto 2 -Braggio) mentre annota altri due monumenti Zorzi in Verona. Uno era quello “classico” della famiglia veneziana (d’argento alla fascia di rosso), appartenente al camerlengo Bartolomeo e presente nella facciata interna di Porta Nuova che già il De Betta vuole smantellata ai suoi giorni (stemma quindi non più esistente da quasi cento anni) mentre l’altro è proprio nel cimitero in questione in abbinata ad altro stemma. Di entrambi parlerò in seguito, qui basti ribadire che quest’arma Zorzi nulla abbia a che fare con quella. Anzi… non mi intendo di araldica militare e se qualcuno volesse confermare che quest’arma sia da assegnarsi a qualche reparto a cui il “Calisto Zorzi volontario e mutilato di guerra decorato di medaglia d’argento”, come si legge nell’epigrafe, appartenne, farebbe cosa gradita. Gustoso l'aneddoto leggibile qui https://www.chiesacimiteroverona.it/il-cimitero/la-storia-del-monumentale-di-verona.html, riferito al buon Calisto, muratore (ecco spiegata la presenza degli attrezzi da lavoro nel monumento funebre): in foto 8 si intravvede la statua che lo rappresenta nell'atto di elargire una moneta ad un bimbo. In Verona si dice che "no'l la mòla mai", cioè, non la lascia mai cadere (ovviamente!). Da qui si usava dire sino a pochi anni fa, per un evento che si presumeva non sarebbe mai accaduto o che lo sarebbe stato assai in là nel tempo, che "el sucedarà quando el la mola el Calisto (cioè quando la statua di Callisto cederà la moneta)







3.


sabato 3 febbraio 2018

VERONA DUOMO N. 33 STEMMA VESCOVO GIOVANNI MICHIEL  (M. 1503)
Chiuse quelle di San Zeno (19 maggio 2016) e Sant’Anastasia (10 gennaio scorso), Iniziamo l’avventura araldica relativa al Duomo e per farlo partiamo banalmente dall’esterno, e da un’arma non certo nascosta… quella di Giovanni Michiel che fa fiera mostra di sé a chiunque sia disposto ad alzare un po’ lo sguardo.
Il M. fu creato cardinale nel 1468 dallo zio Pietro Barbo, poi papa Paolo II. L’elezione del parente al soglio pontificio, ovviamente lo favorì moltissimo, e lo aiutò in particolar modo a ricalcarne pari passo la carriera iniziale (tra i vari incarichi ricoperti prima dal Barbo e poi dal M. ricordiamo la commenda dell’abbazia di Sesto al Reghena).
Come è logico lo stemma da me fotografato ormai il 22 Luglio 2011 risale al periodo in cui il prelato ricoprì la carica di vescovo nella città scaligera. La nomina risale al 1471, ma per ben sei anni il m non fu effettiva in quanto il M. non poté prenderne possesso a causa di contrasti sopravvenuti tra la Santa Sede e Venezia. Questo evento non costituisce di certo un unicum nella vita del “nostro”: le lotte romano-veneziane intorno alla sua figura si ripeterono, ad esempio, anche per la sua successiva nomina a vescovo di Padova: in quel caso fu il punto di vista della Serenissima a prevalere e il M. non riuscì mai a prendere “servizio” nella città patavina. Non ne sono al corrente ma può essere che uno dei motivi di contrasto si dovesse al fatto che la Repubblica esigeva, o quanto meno tentava di avere, vescovi effettivamente residenti ed operanti nelle città loro assegnate, cosa che il M. non garantiva e che de facto non fece: in Verona si vide pochissimo e per eventi del tutto occasionali e simbolici.        
Fu papabile nel conclave che poi determinò invece l’elezione di Alessandro VI, elezione avvenuta anche grazie all’appoggio, da un certo punto in poi, del M. stesso, che per la qual cosa fu lautamente ricompensato dal novello pontefice.  Si dice che proprio il figlio di questi, Cesare, fosse poi il mandante dell’avvelenamento a causa del quale il M. perse la vita nel 1503.

(fonte Treccani, il solito De Betta non aggiunge particolari rilevanti).