mercoledì 10 dicembre 2014


URBINO- LE IMPRESE MONTEFELTRO-8) L’ELEFANTE

Non ne sapevo nulla, ai tempi (recentissimi) della mia visita a Palazzo Ducale: questa è la tragica verità, ma siccome è la verità, inutile nasconderla. Però poi documentandomi, la sorpresa nel vedere tra le mie foto (e di questa foto chiedo scusa per la qualità) un elefante come impresa feltresca  è stata notevole. E questo perché ero venuto nel frattempo a conoscenza di come l’elefante, per giunta circondato da zanzare (e vedremo tra breve come questa precisazione abbia la sua valenza) fosse “impresa dinastica dei Malatesti, animata dal motto ELEPHAS INDVS CVULICES NON TIMET (“L’elefante indiano non teme le zanzare”)” (Ceccarelli p. 64 nota 96) ove le zanzare indicavano ovviamente i piccoli, petulanti, insignificanti e soprattutto innocui e nemmeno fastidiosi, nemici di turno che pullulavano intorno alla casata. La sorpresa era destinata ad aumentare quando sul libro del citato Ceccarelli lessi di come anche questo elefante feltresco fosse circondato da tafani con l’ovvio medesimo significato delle zanzare malatestiane (sempre insetti succhiasangue sono…), nonché da fasce che lo legano strettamente, ad esaltarne ancor di più la calma e la forza nel sopportare le noie della vita.             
L’impresa appartiene, stando all’autore appena citato (p. 138) al quinto duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere. Chissà se ai tempi in cui questi adottò tale emblema, in città vi fosse ancora qualcuno che ricordasse o comunque fosse venuto a conoscenza di come anticamente il grande nemico dell’altrettanto grande Duca Federico, cioè Sigismondo Malatesta, sfoggiasse identico simbolo; e chissà se pertanto, tale –ipotetico­- ricordo contribuisse ad acuire l’odio della popolazione verso il non certo amato (Ceccarelli dixit) duca Guidobaldo II.  Fantastichiamo. 
Certo è che – se la ricostruzione da noi riproposta risulta vera- questo è un bell’esempio di come il tempo e l’oblio aiutino a far migrare “simboli”, imprese, emblemi da un fronte all’altro; a far valicare loro confini un tempo considerati insuperabili (di certo –crediamo, magari sbagliando- che Federico mai si sarebbe sognato di assumere tale impresa, ai tempi simbolo supremo –come detto- della dinastia malatestiana…). Ma il duca Guidobaldo II moriva nel 1574, quasi un centinaio d’anni dopo rispetto al giorno in cui lo fece anche il suddetto Federico, e più di un secolo dopo le vicende che videro il duca (allora non ancora tale) urbinate e Pio II prevalere sul Malatesta, evento che fece scrivere a Giovanni Santi (padre di Raffaello) nella sua Cronaca Rimata, scritta in onore di Federico,  come “Allo Aliphante el cor l’aquila morse”*. Raffigurare quest’impresa “elefantesca”  nel bel mezzo di Palazzo Ducale, contribuì, consapevolmente o inconsapevolmente, a rendere quei giorni di massimo splendore ancor più lontani.

*L’araldista o (nel mio caso) l’araldofilo si commuove sempre quando simboli di imprese o emblemi di stemmi campeggiano in frasi o concetti, e lo fanno rimanendo inesplicati, perché di tale spiegazione nessuno, ai tempi in cui questi venivano scritti, necessitava.        


Nessun commento:

Posta un commento