venerdì 5 dicembre 2014


URBINO- LE IMPRESE MONTEFELTRO-7)  Le tre mete

Ne parla solo il Ceccarelli (p. 140), mentre il Lombardi tace, anche se le mete non rientrano certo nel novero di quelle che lui definisce “solo espressioni simboliche o anche solo decorazioni ad effetto” e pertanto da escludersi dalla sua rassegna.  Esse fanno parte delle imprese di Guidobaldo II della Rovere, quinto duca d’Urbino (1513-1574: in una tavola del libro del Ceccarelli, per errore, viene indicata la data di morte del sesto duca di Urbino, cioè il 1631, cosa che avrebbe fatto di Guidobaldo II un ultracentenario…). Dalla morte di Federico  di Montefeltro (1422-1482), secondo duca d’Urbino, che fortissimamente volle il Palazzo Ducale, di tempo ne è passato un bel po’. Stando al testo citato quindi, le foto che posto sono testimonianza di un rimaneggiamento, o comunque di un rimodernamento dovuto al discendente dell’illustre antenato. Sembra che almeno l’”anima” (cioè, ricordiamo, il testo che accompagna la figura, detta invece “corpo”) dell’impresa discenda direttamente dai due papi pure loro Della Rovere, Sisto IV e Giulio II, che amavano siglare con tale motto le loro carte personali. Nel “Canocchiale Aristotelico” di Emanuele Tesauro si cita l’impresa del “Duca Guidobaldo di Urbino, come “Ammirata dagli scrittori”, e “cioè le Mete, col Motto Greco PHILARETOTATO, in cui sommamente lodano (gli scrittori di cui sopra, nota mia) L’Erudition della Figura, alludente alla palma destinata a chi precorreva nel Circo Massimo. Et ancora l’Erudition del Motto, latinamente significante Virtutis Amantissimo”, che rimanda all’attitudine principesca di conseguire “la Palma, così delle belliche, come delle tranquille virtù”.   
(
http://books.google.it/books?id=Kg1WAAAAcAAJ&pg=PA454&lpg=PA454&dq=philaretotato&source=bl&ots=Vkw_h217aW&sig=hs0eJIbgIRbnYwKWQ6rffMRI0lQ&hl=it&sa=X&ei=yWpHVJbsFpPxaMqPgvgG&ved=0CCEQ6AEwAA#v=onepage&q=philaretotato&f=false).

L’allusione al Circo Massimo rimanda al significato del termine “meta”. Le mete sono le guglie ornamentali (cito il Ceccarelli) posta alle estremità della spina centrale dell’arena, intorno alle quali i carri dovevano girare dopo aver percorso un lato della pista e prima di percorrere l’altro in senso inverso. Da questo deriva anche il significato figurato di “meta” che ancor oggi si usa.  Il Duca amava questa impresa tanto che la fece raffigurare non solo nel Palazzo di Urbino, ma anche in quello di Pesaro e in medaglie commemorative o monete. Nella nota 333 sempre il Ceccarelli cita un passo del Tasso contenuto nell’opera “Il Conte overo de L’imprese”, ma del resto il Tasso insieme al padre Bernardo era uno dei “protetti” più famosi del Duca, e sicuramente in Urbino nell’Aprile del 1556 e poi nel 1574, quando il 25 Febbraio si rappresentò la sua Aminta, con la novità del coro presente tra gli atti (Ceccarelli, nota 300: l’autore urbinate afferma che in quell’occasione nacque- in Urbino quindi- il melodramma, dopo che, sempre stando a lui, con la Calandria di Bernardo Dovizi, sorse, sempre in Urbino,  il teatro moderno, in data 6 Febbraio 1513 -Ceccarelli nota 244-.





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