URBINO- LE IMPRESE MONTEFELTRO-7) Le tre mete
Ne parla solo il Ceccarelli (p.
140), mentre il Lombardi tace, anche se le mete non rientrano certo nel novero
di quelle che lui definisce “solo espressioni simboliche o anche solo
decorazioni ad effetto” e pertanto da escludersi dalla sua rassegna. Esse fanno parte delle imprese di Guidobaldo
II della Rovere, quinto duca d’Urbino (1513-1574: in una tavola del libro del
Ceccarelli, per errore, viene indicata la data di morte del sesto duca di
Urbino, cioè il 1631, cosa che avrebbe fatto di Guidobaldo II un
ultracentenario…). Dalla morte di Federico
di Montefeltro (1422-1482), secondo duca d’Urbino, che fortissimamente
volle il Palazzo Ducale, di tempo ne è passato un bel po’. Stando al testo
citato quindi, le foto che posto sono testimonianza di un rimaneggiamento, o
comunque di un rimodernamento dovuto al discendente dell’illustre antenato. Sembra
che almeno l’”anima” (cioè, ricordiamo, il testo che accompagna la figura,
detta invece “corpo”) dell’impresa discenda direttamente dai due papi pure loro
Della Rovere, Sisto IV e Giulio II, che amavano siglare con tale motto le loro
carte personali. Nel “Canocchiale Aristotelico” di Emanuele Tesauro si cita
l’impresa del “Duca Guidobaldo di Urbino, come “Ammirata dagli scrittori”, e
“cioè le Mete, col Motto Greco
PHILARETOTATO, in cui sommamente lodano (gli scrittori di cui sopra, nota mia) L’Erudition della Figura, alludente alla
palma destinata a chi precorreva nel Circo Massimo. Et ancora l’Erudition del Motto, latinamente
significante Virtutis Amantissimo”,
che rimanda all’attitudine principesca di conseguire “la Palma, così delle belliche, come delle tranquille virtù”.
(http://books.google.it/books?id=Kg1WAAAAcAAJ&pg=PA454&lpg=PA454&dq=philaretotato&source=bl&ots=Vkw_h217aW&sig=hs0eJIbgIRbnYwKWQ6rffMRI0lQ&hl=it&sa=X&ei=yWpHVJbsFpPxaMqPgvgG&ved=0CCEQ6AEwAA#v=onepage&q=philaretotato&f=false).
(http://books.google.it/books?id=Kg1WAAAAcAAJ&pg=PA454&lpg=PA454&dq=philaretotato&source=bl&ots=Vkw_h217aW&sig=hs0eJIbgIRbnYwKWQ6rffMRI0lQ&hl=it&sa=X&ei=yWpHVJbsFpPxaMqPgvgG&ved=0CCEQ6AEwAA#v=onepage&q=philaretotato&f=false).
L’allusione al Circo Massimo
rimanda al significato del termine “meta”. Le mete sono le guglie ornamentali
(cito il Ceccarelli) posta alle estremità della spina centrale dell’arena,
intorno alle quali i carri dovevano girare dopo aver percorso un lato della
pista e prima di percorrere l’altro in senso inverso. Da questo deriva anche il
significato figurato di “meta” che ancor oggi si usa. Il Duca amava questa impresa tanto che la
fece raffigurare non solo nel Palazzo di Urbino, ma anche in quello di Pesaro e
in medaglie commemorative o monete. Nella nota 333 sempre il Ceccarelli cita un
passo del Tasso contenuto nell’opera “Il Conte overo de L’imprese”, ma del
resto il Tasso insieme al padre Bernardo era uno dei “protetti” più famosi del
Duca, e sicuramente in Urbino nell’Aprile del 1556 e poi nel 1574, quando il 25
Febbraio si rappresentò la sua Aminta, con la novità del coro presente tra gli
atti (Ceccarelli, nota 300: l’autore urbinate afferma che in quell’occasione
nacque- in Urbino quindi- il melodramma, dopo che, sempre stando a lui, con la
Calandria di Bernardo Dovizi, sorse, sempre in Urbino, il teatro moderno, in data 6 Febbraio 1513 -Ceccarelli
nota 244-.
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